Piazza San Francesco racconta
"L'indemoniata"

 

Io ci provavo. Ci provavo continuamente a stare calma. Facevo tutto quello che mi dicevano…

Guardavo le nuvole che correvano nel cielo… Stavo a sentire le foglie degli alberi quando ci passa in mezzo il vento, che mi butta all’aria i capelli e la tunica anche se non vorrei… Con le dita tenevo il conto degli animali che incontravo, pecore, maiali, cani, gatti, galline, conigli, ma poi le dita finivano e non potevo andare avanti.

Però bastava uno sguardo un po’ storto di qualcuno, o un rumore fastidioso, o qualche stupida delle mie vicine che se ne usciva con una frase come se avesse scritto il Vangelo, lei che non sapeva nemmeno leggere… e mi partiva la furia. Una furia nera…

Andavo come un toro, o un becco, a testa bassa. Caricavo, gridando, e scalciavo, graffiavo chi mi voleva fermare, gli occhi che ruotavano, che sembrava se ne uscissero dalle orbite, e sputavo, come pazza, con una voce roca da inferno pieno di diavolacci. E mi veniva una specie di salivaccio spesso sulle labbra, come la schiuma del bucato. Il cuore mi voleva scappare dal petto, e correvo, mi inciampavo nei sassi, cadevo, e c’era sangue, e terra, e fango, e merda, su quelle schifo di strade… La lanciavo a chi mi stava attorno, ma avrei voluto far scoppiare il mondo, come le pance delle vacche che mangiano l’erba medica fresca….

Un frate, credo… non mi sono simpatiche le tonache e io non piaccio a loro… ogni tanto mi prendeva per i capelli e mi cacciava la testa nell’acqua, non so se santa o no: io mi sentivo soffocare e sapevo che sarei morta, anche perché mi teneva sotto finché mi si fermava il fiato…Quando poi mi tirava fuori io respiravo tutta l’aria che c’era e lui mi diceva con un sibilo: “ Hai finito, essere immondo che abiti questo corpo?”. Io non parlavo, ma tossivo e tremavo al pensiero che mi ci avrebbe ricacciata di nuovo…

Poi qualcuno ha detto che mi serviva un esorcista. Io non riuscivo a spiegare cosa mi succedeva, ma era come un fuoco, dentro.

Lui non l’avevo mai visto: non era uno che girava tanto. Pregava in un suo buco, lontano da tutto. Non aveva niente degli esorcisti, né acqua santa, né crocifisso o spilloni o catene. Lo chiamavano Martino.

Stavo urlando come un’ossessa, in una delle mie crisi furibonde. Lui ha allontanato tutti e mi è venuto vicino, guardandomi. Io vedevo uno dei miei sputi colargli sulla guancia. Mi ha preso le mani e senza farmi male mi ha tirata verso di sé e…mi ha abbracciata, forte, stretta a lui. Mi parlava nell’orecchio, così ho smesso di urlare perché non sentivo. Sentivo solo il mio cuore che andava come un pazzo via da me, andava a sbattere contro il suo petto e tornava indietro… E così si è rallentato tutto… Finalmente. Sentivo il suo cuore battere insieme al mio. O era il mio che seguiva il suo… Adesso capivo le sue parole al mio orecchio…

“Sorella, io ti amo, Sono tuo fratello… Respira e butta via le tue ansie e la tua rabbia. Ama per essere riamata. Apri le tue braccia per accogliere. Siamo tutti fratelli, non dimentichiamolo mai…”

Stavo bene. Dai miei occhi scendevano le lacrime, ma stavo bene. Con una dolcezza infinita mi ha staccata da sé e mi ha guardata fino in fondo, nel fondo scuro del pozzo degli occhi.

Nessuno mi aveva mai fatto un discorso così, senza parole.

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"Da mamma e papà voglio tornare, solo in una piazza mi puoi portare"